Erlendur Haraldsson e lo studio sulla morte compiuto insieme a Karlis Osis






Haraldsson, Osis e le prime ricerche sulla morte

HaraldssonErlendur Haraldsson (1931-2020), psicologo e ricercatore psi islandese, insieme al suo collega lettone Karlis Osis (1917-1997) negli anni Settanta dello scorso secolo ha condotto un’importante e pionieristica ricerca sui fenomeni che si producono e si osservano in prossimità della morte.
I due si erano incontrati agli inizi di quel decennio per ampliare un’indagine che Osis aveva effettuato precedentemente. Infatti lo studioso lettone aveva realizzato uno studio "pilota" per analizzare fenomeni che fino a quel momento non avevano destato troppo interesse tra i ricercatori. Se si esclude un’indagine di William Barrett (1844-1925) sulle visioni in punto di morte (pubblicata in un volume postumo nel 1926) e un’analisi di casi ritrovati in letteratura ad opera di Ernesto Bozzano (1862-1943) (edita dapprima in alcuni articoli – il primo dei quali è del 1922 – e poi in libri successivi), non si riscontrano lavori degni di nota fino a quello dei due psicologi (ben descritto nel volume Quello che videro… Nell’ora della morte). Quasi contemporaneo al loro libro è invece La vita oltre la vita (1975) di Raymond Moody (1944- ) che, presenta per la prima volta classificati insieme i cosiddetti casi di premorte o Near Death Experience (NDE).

La ricerca di Haraldsson e Osis

Haraldsson

Erlendur Haraldsson

Haraldsson e Osis hanno svolto la ricerca per verificare se vi fossero le condizioni per dimostrare la sopravvivenza alla morte. Si sono avvalsi dell’aiuto di un buon numero di medici e infermieri sia degli Stati Uniti sia dell’India, che – mediante questionari e interviste di approfondimento – hanno raccontato ciò che hanno vissuto al capezzale dei morenti o ciò che si sono sentiti dire da questi ultimi.
Inoltre, hanno utilizzato due modelli per verificare l’ipotesi della sopravvivenza o la sua negazione, individuando alcuni assunti riguardanti le caratteristiche delle visioni:

  • fonte: ESP (Extra-Sensory Perception), cioè telepatia o chiaroveggenza nella prima ipotesi o disfunzioni del cervello e/o del sistema nervoso nella seconda;
  • influenza di fattori medici (farmaci, precedenti di droga o avvelenamenti): indipendenza da essi nel primo caso e il contrario nel secondo;
  • contenuto delle visioni: allucinazioni o percezioni autentiche mediante la ESP o allucinazioni che provengono da ricordi già immagazzinati nel cervello;
  • fattori psicologici: chiarezza di coscienza, credenza in una vita dopo la morte e aspettative su di essa o sulla guarigione;
  • variabilità nel contenuto delle visioni: scarsa nel primo caso e abbondante nel secondo.

Lo studio è stato condotto in India e negli Stati Uniti per avere un ampio panorama di credi e culture, e comprendere anche dal punto di vista antropologico la diffusione dei fenomeni analizzati. Per entrambe le realtà si è basato su un questionario con domande uguali (se non in pochi casi), che è stato inviato per posta negli Stati Uniti, mentre è stato sottoposto personalmente ai testimoni in India, causa l’inadeguatezza del servizio postale del paese.
Le domande hanno riguardato:

  • visioni di persone o di ambienti da parte sia di pazienti terminali (morti in seguito) sia di pazienti non in stato terminale ma vicino alla morte e in seguito guariti;
  • «miglioramenti dell’umore improvvisi da parte dei morenti fino a raggiungere la felicità o la serenità».

Sono state previste risposte aperte (in modo da permettere valutazioni e descrizioni) sia risposte precise e alternative. Sono stati poi effettuati controlli, basati su tecniche diverse, nel caso fossero forniti dei particolari. Infine, sia i dati sulle visioni sia le informazioni sui pazienti sono stati analizzati tramite procedure statistiche. In particolare è stata valutata la frequenza della natura delle prime e quella delle caratteristiche dei pazienti, tra cui i fattori medici (come malattie e terapie in corso) e i dati personali (come età, cultura, credenze religiose).

Quello che videro… Nell’ora della morte

Haraldsson

Karlis Osis

Tra il materiale preso in considerazione sono stati esclusi i casi che erano palesemente dovuti ad allucinazioni patologiche o a terapie in corso, mentre quei «casi di allucinazioni coerenti che erano chiaramente orientati verso questa vita» sono stati utilizzati per un confronto con i dati che propendevano per l’ipotesi della sopravvivenza. Infatti, «circa la metà dei nostri dati riguarda pazienti morenti (che poi morirono) i quali "videro" persone intorno a loro che gli osservatori medici non percepirono» e sembravano «in qualche modo suggestive di un altro mondo».
Ecco, a questo proposito un caso esemplificativo.

Un uomo di sessantacinque anni con un cancro allo stomaco sembrava perfettamente in sé e lucido quando «guardò un punto lontano; queste cose gli apparvero e gli sembrarono reali. Fissava un muro e gli occhi e il volto gli si illuminarono come se vedesse una persona. Parlò della luce e dello splendore, e vide persone che gli parvero reali. Disse: "Salve" e "Ecco mia madre". Quando questo fu finito chiuse gli occhi e sembrò immerso in una grande pace. Fece dei gesti allungando le mani. Prima dell’allucinazione era molto sofferente e tormentato dalla nausea; dopo fu sereno e tranquillo».

Chi ha assistito a queste "visioni" ha spesso notato nei pazienti un atteggiamento positivo ed "esultante" così come una trasformazione dell’aspetto che da cupo e depresso a causa delle condizioni patologiche diventava radioso. Situazioni e atteggiamenti analoghi si sono verificati indipendentemente dall’età dei pazienti e dalla gravità della loro patologia.
Molto spesso medici e infermieri hanno potuto notare un drastico cambiamento di umore, manifestatosi nell’espressione del volto, come nel caso di una

Donna di cinquantanove anni che aveva una polmonite con complicanze cardiache.
L’espressione del suo volto era meravigliosa; il suo atteggiamento prevalentemente mutato. Si trattava di un qualcosa di più del semplice mutamento di umore che avevo visto in lei molte volte… sembrava che vi fosse qualcosa di superiore che non era naturale… C’era un qualcosa che ci induceva a pensare che vedesse cose che noi non potevamo scorgere. Era sempre di malumore, ma nell’anno passato era stata veramente depressa. Non aveva mai avuto un trattamento psichiatrico. Penso che abbia avuto un qualche contatto con l’aldilà e che questo abbia provocato un felice effetto su di lei.

Non di rado è capitato che persone convinte che sarebbero guarite (convinzione condivisa dai medici che le curavano) hanno affermato che le figure che "vedevano" erano venute a prenderle per portarle con sé. Spesso hanno identificato in queste ultime dei familiari defunti mentre altre volte le hanno interpretate come figure religiose, quelle che Moody chiama figure di luce, perché tali sono viste. Gli interlocutori invisibili erano per lo più di defunti, mentre in casi meno numerosi erano di persone viventi (la presenza di queste ultime è stata riferita a situazioni legate alla vita presente).
In diverse occasioni, poi, gli osservatori hanno raccontato che durante le visioni sembrava che «il paziente […] si trovasse contemporaneamente in due mondi» e che in alcune delle quali hanno assistito a dialoghi tra il paziente e l’apparizione, come nel caso di una donna di cinquant’anni con un cancro addominale.

Quando entrai nella stanza, lei stava conducendo una conversazione assai vivace con suo marito. Guardai suo figlio che era seduto al suo capezzale ed egli mi disse: «Crede di stare parlando con mio padre che è morto da diciassette anni». Gli occhi della paziente erano aperti ma sembrava che fosse in trance. Parlava con un tono monotono. «I ragazzi stanno bene, abbiamo dei nipoti». Sembrava che lo informasse sugli avvenimenti della famiglia cui egli non aveva partecipato dopo la morte. Rispose anche ad alcune domande rivoltele dal marito.

Secondo quanto gli studiosi hanno potuto valutare, le apparizioni sono state «in modo predominante esperite come guide che li assistono nel loro passaggio a un’altra modalità di esistenza». A tale proposito per un’alta percentuale dei pazienti la reazione è stata positiva, mentre soltanto per una percentuale bassa è stata negativa con il rifiuto dei pazienti all’invito a seguire i loro interlocutori invisibili.

I risultati dello studio di Haraldsson e Osis

HaraldssonIn questa ricerca Haraldsson e Osis hanno scrupolosamente analizzato tutti i possibili aspetti del fenomeno, perché diverse sono le variabili – psicologiche, biologiche, mediche e culturali – che entrano in gioco e che interagiscono fra loro, così come sono state accuratamente esaminate tutte le loro relazioni. Quello che hanno fatto è uno studio importante sia perché innovativo rispetto al passato sia per la quantità dei casi presi in esame (almeno un migliaio). Infatti diversi ricercatori lo hanno preso come punto di riferimento per ulteriori indagini. Da allora tante ne sono state fatte e se ne stanno conducendo, anche in ambito accademico.
La conclusione cui Haraldsson e Osis sono giunti è che tra le esperienze analizzate,

  • quelle che hanno avuto breve durata (e sono la maggior parte) sono sicuramente attribuibili ad una fonte ESP;
  • che le visioni dominanti erano quelle riguardanti defunti o figure religiose;
  • che queste ultime erano apparse con lo scopo di portare con sé i morenti e che sembravano avere una volontà propria, talvolta in contrasto con i desideri del paziente;
  • per la maggior parte dei casi le reazioni emotive sono state positive accompagnate da improvvise variazioni di umore con conseguente pace e serenità, e quindi accettazione della morte.

Da tutto questo hanno quindi dedotto che la possibilità di un’esistenza dopo la morte non sia molto remota. Tuttavia nel loro volume hanno auspicato lo sviluppo di ricerche future a conferma (o smentita) della loro indagine.
Ricordare oggi questo studio non solo è importante per commemorare la scomparsa di Erlendur Haraldsson, avvenuta il 23 novembre 2020, ma anche perché rappresenta un punto di partenza e di riferimento per le ricerche sui fenomeni in prossimità della morte. Come auspicato dai due studiosi, a questa ricerca ne sono seguite altre nel corso di questi anni, ma non è ancora stata detta la parola definitiva sulla questione da loro sollevata: si sopravvive alla morte? Gli indizi favorevoli ci sono, così come i ricercatori che desiderano rispondere al quesito.

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Per approfondire

Barrett William: Visioni in punto di morte, ed. Mediterranee 1991

Bozzano Ernesto: Le visioni dei morenti, Casa Editrice Europa 1947

Fenwick Peter and Brayne Sue: End-of-life Experiences: reaching out for compassion, communication, and connection. Meaning of deathbed visions and coincidences, American Journal of Hospice & Palliative Medicine, 28(I) 7-15

Greyson Bruce: Seeing dead people not known to have died: "Peak in Darien" experiences, Anthropology and humanism, vol. 35, issue 2, pp. 159-171

Osis Karlis e Haraldsson Erlendur: Quello che videro… nell’ora della morte, ed. Armenia 1979

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Magicamente Colibrì

Ho fatto studi classici al liceo e scientifici all’università, perché amo entrambi i mondi. Questa mia formazione è dovuta al fatto che in me convivono bene gli aspetti che caratterizzano l’essere umano, cioè quelli legati al pensiero razionale e a quello non razionale, e che sottintendono, rispettivamente, alla scienza e alla spiritualità. Molti sono i miei interessi e i post del blog lo dimostrano.

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