Di Gianni (Giovanni) Rodari (1920-1980) – scrittore, pedagogista e giornalista – ho pubblicato già due racconti, uno dedicato alla Pasqua e un altro che, come ho scritto nel presentarlo, ci dà uno spaccato dell’Italia degli anni della migrazione verso i paesi europei. Quello che propongo qui, tratto da Favole al telefono, contiene un altro tema di grande attualità: il cambiamento climatico. Già negli anni in cui Rodari lo ha scritto il problema era noto, ma certamente l’atteggiamento dell’opinione pubblica era diverso rispetto a quello di oggi.
Protagonista della storia è una viola mammola che spunta tra i ghiacci del Polo Nord. Grande è lo stupore dei suoi abitanti alla vista di questo «piccolo, strano essere profumato, di colore violetto» comparso all’improvviso e che resiste almeno due giorni prima di morire in questo ambiente non proprio favorevole a lui.
Il racconto fa riflettere sul clima, perché descrive uno scenario che potrebbe presentarsi nel futuro non si sa quanto prossimo, ma c’è un’altra considerazione da fare. Nelle ultime righe si legge: «Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero [quello della viola, n.d.r.] dev’essere stato pressappoco questo "Ecco, io muoio… Ma bisognava che qualcuno cominciasse"». Infatti in tante situazioni nuove c’è sempre qualcuno che inizia, anche a costo di molti sacrifici. A lui ne seguiranno altri, memori del suo esempio e del suo coraggio. La viola è stata il primo essere a vivere in un ambiente diverso dal suo, addirittura ostile, e ha pagato con la vita. Tuttavia ha aperto una strada che altri intraprenderanno dopo di lei e «Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si scioglieranno, e qui ci saranno isole, case e bambini».
A prescindere dal clima, in merito al quale il post si limita a riportare un racconto che prefigura un possibile futuro, i pionieri ci sono sempre stati e sempre ci saranno, in ogni campo. Non è necessario un viaggio fisico per aprire una strada nuova, perché basta anche il pensiero. Una nuova visione della vita, del mondo o di qualunque altra cosa può portare in territori inesplorati e arricchire così il nostro essere.
Una viola al Polo Nord
Una mattina al Polo Nord, l’orso bianco fiutò nell’aria un odore insolito e lo fece notare all’orsa maggiore (la minore era sua figlia).
«Che sia arrivata qualche spedizione?».
Furono invece gli orsacchiotti a trovare la viola. Era una piccola violetta mammola e tremava di freddo, ma continuava coraggiosamente a profumare l’aria, perché quello era il suo dovere.
«Mamma, papà» gridarono gli orsacchiotti.
«Io l’avevo detto subito che c’era qualcosa di strano», fece osservare per prima cosa l’orso bianco alla famiglia. «E secondo me non è un pesce».
«No di sicuro – disse l’orsa maggiore, – ma non è nemmeno un uccello».
«Hai ragione anche tu», disse l’orso dopo averci pensato su un bel pezzo.
Prima di sera si sparse per tutto il Polo la notizia: un piccolo, strano essere profumato, di colore violetto, era apparso nel deserto di ghiaccio, si reggeva su una sola zampa e non si muoveva. A vedere la viola vennero foche e trichechi, vennero dalla Siberia le renne, dall’America i buoi muschiati, e più di lontano ancora volpi bianche, lupi e gazze marine. Tutti ammiravano il fiore sconosciuto, il suo stelo tremante, tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima.
«Per mandare tanto profumo, – disse una foca – deve avere una riserva sotto il ghiaccio».
«Io l’avevo detto subito – esclamò l’orso bianco – che c’era sotto qualcosa».
Non aveva proprio detto così, ma nessun se ne ricordava.
Un gabbiano, spedito al Sud per raccogliere informazioni, tornò con la notizia che il piccolo essere profumato si chiamava viola e che in certi paesi, laggiù, ce n’erano milioni.
«Ne sappiamo quanto prima», osservò la foca. «Com’è che questa viola è arrivata proprio qui? Vi dirò tutto il mio pensiero: mi sento alquanto perplessa»
«Come ha detto che si sente?», domandò l’orso bianco a sua moglie.
«Perplessa. Cioè, non sa che pesci pigliare».
«Ecco – esclamò l’orso bianco – proprio quello che penso io».
Quella notte corse per tutto il Polo un pauroso scricchiolio. I ghiacci eterni tremavano come vetri e in più punti si spaccarono.
La violetta mandò un profumo più intenso, come se avesse deciso di sciogliere in una sola volta l’immenso deserto gelato, per trasformarlo in un mare azzurro e caldo, o in un prato di velluto verde. Lo sforzo la esaurì. All’alba fu vista appassire, piegarsi sullo stelo, perdere il colore e la vita. Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero dev’essere stato pressappoco questo «Ecco, io muoio… Ma bisognava che qualcuno cominciasse… Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si scioglieranno, e qui ci saranno isole, case e bambini».
L’autore
Gianni Rodari (1920-1980) è molto noto per i suoi scritti rivolti ai bambini non solo in Italia ma anche all’estero. Ha ricevuto molti riconoscimenti tra i quali, nel 1970 il premio Hans Christian Andersen. Ricchissima è la sua bibliografia, e anche se rivolta all’infanzia è adatta anche ad un pubblico adulto. Dalla sua morte, avvenuta nel 1980, molte istituzioni hanno intitolato a suo nome parchi, scuole, biblioteche.
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