Il Maestro Giuseppe Verdi e la Casa per gli artisti



Un pomeriggio alla Casa per musicisti Giuseppe Verdi di Milano

Quando corro così, sospinta dalla fretta sui marciapiedi di Milano, penso sempre che il mio running da dilettante abbia anche un’utilità pratica.
Entro trafelata: i miei libri e la cartella non si vedono da dietro il vetro della portineria.
La custode è algida, grigia e impolverata come tutto quello che le sta intorno.
La sensazione è subito quella di un mondo inspiegabilmente e meravigliosamente avulso dal caos di Milano. Io non so se qui aleggi lo spirito del Maestro, ma sicuramente lui questo posto lo voleva così.

Arcigna, diffidente, con l’aspetto di quelle donne che le mura di un’istituzione con cui si sono "sposate" rendono prive di età, la signora dietro il vetro alza il sopracciglio quando mi presento e le faccio il nome della persona con cui ho, anzi avevo, appuntamento venti minuti fa.
E invece "lui" arriva: come lei è un uomo senza tempo. Del resto lo avevo immaginato proprio cosi dopo la nostra conversazione telefonica di qualche giorno fa: impermeabile alla mia richiesta di accedere al museo che la "sua" residenza racchiude, mi aveva parlato solo degli ospiti.

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Casa per musicisti Giuseppe Verdi – Milano

Già… gli ospiti. Nessun ospite in realtà; vedo solo un giardino incantato: il roseto, le panchine, le vetrate ottocentesche, le statue di pietra, la cappella con la tomba del Maestro in fondo al viale. Anche tutta questa bellezza sembra incurante del mondo che ogni giorno, là fuori, recita il suo copione forsennato con le automobili a cercare parcheggi impossibili, con la metropolitana, sulla piazza, a vomitare ogni quarto d’ora gente che corre, senza requie. Fuori la cacofonia stonata della città, dentro la musica di pianoforti che provano, si fermano e riprendono scale, esercizi, melodie.
Ma… gli ospiti? Li cerco con lo sguardo: butto l’occhio in cima a scaloni spettrali, seguo il corso di questo pavimento dalle piastrelle quadrate a fiori grigi, le stesse che c’erano nella casa di campagna dei miei bisnonni e che per effetto di una sinestesia che mi travolge e mi turba hanno persino l’odore di quella dimora lontana sui cui corridoi ho corso, solo qualche volta, da bambina.

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Giuseppe Verdi

Una piccola porta socchiusa in fondo lascia intravedere una sala di quelle normalmente adibite alla riabilitazione motoria, con attrezzi ginnici, stampelle, cose così. è una visione che mi fa male, che stride col resto di ciò che vedo o che voglio immaginare. Ne esce un’infermiera e improvvisamente l’odore della vecchiaia mi attanaglia e mi serra la gola. Mi pare di far fatica a respirare; mi chiedo se in realtà esista un odore della vecchiaia. "Ma certo che esiste, e confina con quello della morte" penso mentre mi vergogno con me stessa di provare queste sensazioni. Ma non riesco a fermare tutto questo turbine: mi si sovrappongono nella testa e nel cuore lampi di memoria dimenticata. I due piani della villa dei bisnonni dove io cercavo giocattoli che in una cesta di vimini se ne stavano in perenne attesa delle visite dei bambini; poi mio nonno malato e senza più memoria nelle sue stanze a metà tra l’appartamento borghese e la casa di cura: il Maestro – già allora, sì anche lui – che era un monumento e noi ragazzi così refrattari, così ribelli alla sua musica e a ciò che rappresentava; il profumo di Ottocento che usciva dai libri, dai salotti buoni, dal pianoforte, il profumo che noi non capivamo ma che ora io porto dentro e che quando meno me lo aspetto, dove meno me lo aspetto, riconosco con un’evidenza che non ammette chiose.

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Casa per musicisti Giuseppe Verdi – interno

L’incontro nell’ufficio senza colori dura pochi minuti e non ci porta lontano: io, totalmente dissonante rispetto al contesto, parlo di progetti formativi e di innovazione didattica, mentre "lui" parla dei "suoi" ospiti. Tanto vale allora che mi porti a conoscerli, gli dico.
Due piani e il grigio si dissolve, scalino dopo scalino, accordo dopo accordo. Sinfonie accennate mi avvolgono mentre guardo ormai rapita la biblioteca delle partiture e mentre perdo l’orientamento nei saloni che racchiudono strumenti a corde, a fiato, tastiere. "Lui" parla sempre e solo del Maestro con una devozione che sarebbe commovente se solo le sue parole non fossero un sottofondo lontano che percepisco distratta. Prevale la musica che viene da sale che non vedo. E io ormai ascolto solo quella, perché forse confondo ciò che sento con le melodie della nonna: è là, il nonno se n’è andato in silenzio, e lei che non è capace di subire l’oltraggio del tempo, tira fuori da una cartellina i suoi spartiti ingialliti di alunna del conservatorio per provarli e riprovarli, ancora, nel suo salotto.

Poi, finalmente, gli ospiti: appaiono uno alla volta da tutte le parti. Mi accerchiano composti e dignitosi: la "signora", il "maestro", il "professore", tutti eleganti, tutte truccate con colori persino eccessivi, con gioielli pretenziosi, come se invece che andare a pranzo entrassero in un teatro, ad assistere ad una di quelle prime che si replicano all’infinito.

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Casa per musicisti Giuseppe Verdi – cripta

"Lui" mi spiega che li accomuna un passato d’arte, spesso una fama ignota ai più: soprani, tenori, ballerini e ballerine, maestri d’orchestra, storici della musica. Salutano senza alcun velo di tristezza negli occhi, vorrebbero sapere chi sono – lo sento – ma capisco che il decoro che l’arte ha insegnato loro vieta la curiosità; la curiosità fa parte delle piccolezze del mondo di là fuori dove io ora non vorrei tornare. Mi piacerebbe stare qui a non interrompere questa mattinata trasognata, nella culla di note a cui ora davvero mi dispiace di essere stata refrattaria tanto tempo fa. Per questo quando mi congedo da "lui" non riesco a non andare a salutare anche il Maestro, seppellito accanto alla sua Giuseppina, per sempre vicini qui dove per rispetto non arriva nessuna nota e dove non c’è bisogno di coprire di paglia il selciato perché il riposo non venga disturbato. Leggo che il Maestro riteneva questa casa la sua opera più bella.

Esco senza più voglia né bisogno di correre; in un angolo nascosto dove nessuno riuscirà ad arrivare ho già collocato i ricordi agrodolci che oggi non avevo messo in conto di respirare. Le grida dei bambini all’uscita di scuola, i clacson delle auto, la luce vivida dell’estate che non finisce mi riportano alla vita. Dentro, la voce di una ragazzina refrattaria che ha finalmente ha imparato a dire grazie al Maestro.

Per approfondire

Casa per musicisti Giuseppe Verdi

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About The Author

Elena

Milanese, insegnante di lettere in un liceo classico. Innamorata del bello (concetto relativo, a dire il vero) in tutte le sue declinazioni artistiche e culturali di ogni epoca. Credo molto nella sfida di far convivere tradizione e innovazione: quando spiego la letteratura, quando coltivo le mie passioni. Sarà perché sono curiosa di ogni genere di contaminazione…

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