Memoria delle cellule e trapianto



Con il trapianto si eredita la personalità del donatore?

Esiste una memoria delle cellule? Non possiamo affermarlo perché la scienza non lo ha ancora dimostrato, anche se c’è chi lo pensa. Tra coloro che dicono che le cellule hanno una memoria vi sono alcuni a cui è stato trapiantato un organo e che ritengono di aver ereditato la personalità del loro donatore, soprattutto chi ne ha ricevuto il cuore.

memoria delle cellule

Cellule al microscopio

La storia di Claire

Ne era convinta Claire Sylvia, una ballerina e una coreografa che nel 1989 aveva dovuto ricorrere al trapianto di cuore e polmoni a causa di una ipertensione polmonare primitiva, una malattia rara e mortale. Claire raccontò la sua esperienza in un libro pubblicato nel 1997 che ebbe una certa risonanza. Descrisse come si rese conto che la sua personalità era cambiata dopo l’operazione e quali trasformazioni aveva avesse subito la sua vita. La necessità di raccontare la sua storia era sorta in seguito alle riflessioni che aveva maturato nel corso di quegli otto anni esaminando non solo eventi della sua vita ma anche sogni che cominciò ad avere qualche mese dopo l’intervento.

Analizzando il significato di questi sogni e il cambiamento non solo di alcune preferenze alimentari, ma anche dell’atteggiamento psicologico con cui affrontava alcuni eventi della vita, iniziò a chiedersi chi fosse la persona da cui aveva ricevuto il cuore e i polmoni e se non ne avesse assunto abitudini e preferenze.
Claire si accorse che alcuni cibi e bevande che prima non amava, dopo l’operazione divennero i suoi preferiti, in particolare i peperoni verdi, il pollo fritto e la birra; mentre prima amava vestirsi con capi a colori vivaci, dopo prediligeva colori più sobri e tenui. Dal punto di vista psicologico, poi, si rese conto di affrontare la vita e di ragionare sugli eventi e le persone in modo tipicamente maschile, distaccato; inoltre notò che si sentiva più sicura di sé e reagiva in maniera più dura rispetto a prima.

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Claire Sylvia

In seguito a queste osservazioni organizzò dei gruppi di ascolto per persone che erano state sottoposte a trapianto per condividere pensieri, emozioni e sentimenti comuni e che chi non era stato operato come loro non aveva.
Claire, come altri, cominciò ad avvertire come se dentro di sé ci fosse un’altra personalità che in quale modo cercava di comunicare con lei. Ciò la indusse a credere che questa si manifestasse in alcuni sogni che aveva iniziato a fare qualche mese dopo l’intervento, in particolare dal primo che l’aveva spinta a porsi domande sul donatore e che così riferì nel suo libro:

«È una calda giornata estiva. Sono all’aperto, in un prato. Con me c’è un ragazzo alto, snello e scattante, con i capelli chiari. Si chiama Tim e credo che il suo cognome sia Leighton, ma non ne sono sicura. Per me lui è Tim L. Siamo buoni amici, abbiamo un rapporto giocoso.
Arriva l’ora di andarmene, devo raggiungere un gruppo di acrobati. Mi incammino lungo il sentiero allontanandomi da Tim. Improvvisamente mi volto e avverto che tra noi è rimasto qualcosa in sospeso. Torno a dirgli arrivederci. Tim mi guarda mentre mi avvicino e sembra contento che io stia tornando da lui.
Ci baciamo e in quel momento io lo aspiro dentro di me. Mi pare il respiro più profondo che io abbia mai tirato. E in quell’istante so che noi due, Tim e io, saremo insieme per sempre
».

La legge non permette di conoscere l’identità del donatore per tutelare tutti i protagonisti, ma Claire riuscì addirittura a incontrare la famiglia del giovane da cui aveva ricevuto gli organi: si chiamava Tim e gli piacevano i peperoni verdi, il pollo fritto e la birra. Con la famiglia di Tim instaurò un bellissimo rapporto che è durato fino alla sua morte, avvenuta nel 2009.

Il caso di Thomas

Nonostante l’anonimato è accaduto che altri conoscessero la provenienza dell’organo ricevuto e Claire ha riportato alcuni di questi casi nel suo libro, come quello di «Thomas, che aveva circa quarant’anni, dopo il trapianto assunse una personalità completamente nuova. Prima dell’operazione, a detta di tutti era un timido e introverso. Ma quando, qualche mese dopo l’operazione, entrò nel primo gruppo di sostegno, era un bamboccione esuberante e chiacchierone col berretto da baseball sempre in testa: un ragazzino di nove anni nel corpo di un uomo di quaranta… [Anche] il suo linguaggio cambiò, tanto che aveva cominciato a dire parolacce perfino davanti alla moglie, cosa che l’imbarazzava moltissimo». L’uomo sapeva che il suo cuore era appartenuto a un giovane adolescente ucciso a New York, ma non volle conoscere altro di lui.

La storia di Charlotte

C’è chi, pur desiderando avere informazioni sul donatore non è riuscito ad averle, venendo però contattato dalla sua famiglia, come nel caso di Charlotte Ann Pascal, più nota come Charlotte Valandrey per aver recitato nella serie televisiva Il commissario Cordier nei panni della figlia del protagonista.

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Charlotte Valandrey

Come Claire, Charlotte voleva sapere chi fosse il donatore del cuore da lei ricevuto quando, a partire da due anni dopo il trapianto e sempre nell’anniversario di quell’evento, cominciò ad avere dei sogni, anzi degli incubi. Questi le davano angoscia perché riguardavano un incidente automobilistico che la vedeva protagonista anche se non era veramente lei. Non vedeva i dettagli, ma ne percepiva la drammaticità, e con il passare del tempo si convinse che erano legati al suo donatore, di cui non sapeva nulla e che sentiva essere stata una donna. Analogamente a Claire, si rendeva conto che le sue abitudini e le sue preferenze erano cambiate, e sentiva di convivere con un’altra personalità, arrivando alla conclusione che le cellule siano dotate di memoria.

Avendo scritto in un libro questa sua esperienza ed essendo un personaggio noto, il marito della sua donatrice le scrisse in forma anonima raccontandole dell’incidente in cui era stata coinvolta la moglie proprio la notte in cui Charlotte fu operata e dicendole di non volerla incontrare. Tuttavia un po’ di tempo dopo l’uomo fece in modo di avvicinarla senza rivelare la sua identità. In seguito tra i due si instaurò un profondo legame amoroso e solo casualmente Charlotte scoprì chi fosse lui. L’uomo desiderava dirle la verità ma non era riuscito a trovare l’occasione giusta per farlo.

Gli studi e le ipotesi

Anche se i racconti di queste due donne e di altri come loro hanno suscitato curiosità, pochi ricercatori hanno intrapreso uno studio per verificare se esista una memoria delle cellule.
Quello che fino ad oggi può essere considerato l’unico condotto con serietà è quello compiuto da Paul Pearsall, Gary Schwartz e Linda Russek e pubblicato nel 2005. Il campione di pazienti da loro esaminato è stato raccolto in modo sporadico ed è troppo esiguo per definirsi risolutivo: 74 trapianti, 23 dei quali di cuore nell’arco di 10 anni. Non è possibile definire con tale numero di casi una percentuale convincente sulla realtà del legame donatore-ricevente. In seguito non si riscontrano indagini analoghe, cioè in cui ci sia il confronto tra le trasformazioni nella personalità di chi ha subito il trapianto e le caratteristiche psicologiche del donatore, mentre numerose sono quelle che analizzano questi cambiamenti alla luce di ipotesi psicologiche o spiegazioni farmacologiche.

memoria delle cellule

Cellule staminali del cervello

Pertanto nulla si può dire sulla realtà di una memoria cellulare, cioè sulla possibilità che le cellule immagazzinino informazioni sulle caratteristiche psicologiche di un organismo né sulla realtà di un trasferimento di queste nel caso in cui un organo venga trapiantato in un altro organismo.

Sarebbero necessarie altre ricerche in cui si possano fare questi confronti, ed escludere la possibilità di spiegazioni di tipo psicologico o farmacologico. Per quanto riguarda il primo, è innegabile che un’operazione di trapianto (nel caso del cuore in maniera prevalente) abbia ripercussioni sulla psiche del ricevente (e numerose sono le pubblicazioni in tal senso). Per il secondo tipo, si ritiene che i farmaci utilizzati nelle terapie possano creare o far cessare allergie e intolleranze, o alterare equilibri psicofisici, al punto di avere conseguenze anche a livello più generale di "personalità".

Tutto giusto, ma bisogna ricordare il dato specifico che il cambiamento è proprio in linea con il carattere del donatore. Ci sono particolarità che sembrano andare al di là delle pure e semplici coincidenze, tuttavia sembra che ciò non riscuota interesse da parte del mondo accademico che le ritiene tali e non meritevoli di uno spreco di risorse, soprattutto in tempi di crisi come questo.

NOTA: a rigore di completezza si deve anche dire che numerose altre ipotesi sono state suggerite soprattutto da ricercatori al limite del mondo accademico, alcune delle quali a mio parere troppo fantasiose.

Per approfondire

Sylvia C. e Novak W.: Con il cuore di un altro. La mia incredibile storia, ed. Mondadori, Milano 1997

Pearsall P., Schwartz G.E.R., Russek L.G.S.: "Changes in heart transplant recipients that parallel the personalities of their donors", Journal of Near-Death Studies, Vol. 20(3) Spring 2002 pp. 191-206

Valandrey C.: Il mio cuore sconosciuto, ed. Longanesi, Milano 2012

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About The Author

Magicamente Colibrì

Ho fatto studi classici al liceo e scientifici all’università, perché amo entrambi i mondi. Questa mia formazione è dovuta al fatto che in me convivono bene gli aspetti che caratterizzano l’essere umano, cioè quelli legati al pensiero razionale e a quello non razionale, e che sottintendono, rispettivamente, alla scienza e alla spiritualità. Molti sono i miei interessi e i post del blog lo dimostrano.

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