Entità A – La fraternità e il rapporto con gli altri



Come aiutare gli altri nella loro evoluzione spirituale

L’entità A, manifestatasi attraverso la medianità di Corrado Piancastelli, qui partendo dal significato di felicità allarga il discorso sulla fraternità e sull’accettazione dell’altro da sé e sul rapporto con gli altri. Analizzando il significato di fraternità, afferma che questa «non è il dare l’elemosina, ma è il capire, l’accettare gli altri». Inoltre «Voler bene agli altri significa accettarli come essi sono nel loro momento evolutivo, aiutarli a modificarsi per essere come voi», nel senso di esseri spirituali. Precisa infatti che non dobbiamo conformare gli altri ai nostri modelli, ma cercare di capire quali siano le loro esigenze. Certo, ammette, non è facile tutto ciò, ma questi sono problemi che si ripresentano sempre all’uomo e non sono di facile risoluzione.
Brano quanto mai di attualità che offre spunti di riflessione di un certo rilievo. E ben si affianca ad altri (v.) che lo completano.

fraternitàIo dissi una volta (molto tempo fa, credo) che la felicità non è quella cosa irraggiungibile che si crede, non è affatto irraggiungibile. Ognuno di voi la felicità se la porta dentro e non la sa riconoscere. Quando scatta, dunque, questa felicità? Ma la felicità, certo soggettiva a ciascuno (grande o piccola, relativa) – o la pace, forse va meglio – nasce nel momento in cui, salendo di un gradino dentro se stessi, cambia l’orizzonte. E tutte le cose che hanno portato disagio, sofferenza, e che dipendono in gran parte dalla vostra struttura, dal modo come siete costruiti, diventano di secondo piano e cominciate a non esserne più toccati.
Intanto diventate disponibili, aperti; rientrate in quel principio di fraternità che tanto hanno perseguito i vostri martiri e i vostri santi, e che nella loro utopia apparivano come parole, mentre essi erano gli unici a testimoniarlo con l’esistenza, al di là delle parole. La fraternità non è soltanto il porgere l’altra guancia; oltretutto il porgere l’altra guancia è la cosa più facile di questo mondo e diventa facilmente un conformismo. Il porgere l’altra guancia è un’altra cosa, e la fraternità non è il dare l’elemosina, ma è il capire, l’accettare gli altri. Voler bene agli altri significa accettarli, capirli, giustificarli sempre, non dare giudizi; accettarli come essi sono nel loro momento evolutivo, aiutarli a modificarsi per essere come voi: questa è la fraternità.

fraternitàIl fare la carità, il porgere l’altra guancia sono parole retoriche. Oltretutto, la vostra società si sta orientando in un certo senso politicamente ed economicamente verso questi principi. L’assistenza in tutti i campi della vostra vita non risponde forse a questo principio della carità o del porgere l’altra guancia? Il soccorso umano, civile; il modo di assistere l’uomo nell’ambito della stessa società già risolverebbe questo problema, che invece non è affatto risolto perché si tratta di un rapporto tra uomo e uomo; del modo di confrontarsi, di rapportarsi agli altri.
è in questa nuova dimensione che si esplica la fraternità: l’essere veramente nell’altro, il capire e accettare le esigenze degli altri, aiutarli anche a raggiungere finalità diverse dalle vostre e che apportano invece felicità o pace all’altro, o "spinte" evolutive.

fraternitàGli altri non devono conformarsi a voi; ognuno di voi ha il suo cammino evolutivo e non deve e non può pretendere che gli altri si muovano come lui. Ognuno ha il suo programma spirituale e va avanti così. Pretendere che gli altri si uniformino al vostro modello di vita è assolutamente assurdo e ingiusto. Ecco che, allora, la fraternità è anche in questo: nell’accettare che ognuno svolga il suo programma, aiutandolo sanamente, onestamente, lealmente, a portarlo a termine. E se ha punti bui, chiarirli, se ne siete in grado; se non ne siete in grado è meglio tacere, perché non si può aiutare in cose che non si sanno, anche se il mondo è sempre andato avanti così. Con uomini che sono stati considerati come bestie in un recinto e posti verso un’unica direzione.

fraternitàÈ invece importante che ognuno assolva il suo programma individuale perché questo è il segno dello spirito. E questi, quando torna da questa parte, è del suo programma che risponde, della sua evoluzione, non di quella degli altri. Così facendo, il mondo ha costretto tutti i vostri fratelli, noi stessi, tutti, a dover rispondere anche degli impedimenti che abbiamo creato negli altri col nostro modo di fare. Ogni spirito finisce, non col dover giustificare solo la sua vita, ma anche il modo in cui ha ridotto quella degli altri.
è vero che in tutto questo c’è l’ampia assoluzione dovuta al carattere terreno dell’esperienza. Lo spirito può e dice di fatto che non può responsabilizzarsi secondo i condizionamenti storici, che non può modificarli; è vero, ma, dentro, lo spirito sa la parte che veramente non poteva evitare e quella che poteva evitare. Francamente, quante volte voi impedite agli altri di fare le proprie esperienze soltanto per capriccio, soltanto perché siete pigri e non volete cambiare? Perché siete testardi e vi abbandonate a una serie di regole che spesso non hanno senso. E, talvolta, c’è questa vostra responsabilità di impedimento della vita degli altri.
Io credo che tutta la vita vada rivista alla luce di questi principi e il primo atto di umiltà deve consistere nel porre orecchio alla necessità di cambiare, valutando anche gli aspetti negativi di se stessi. è una prima operazione assolutamente indispensabile, che porta all’identificazione di tutte quelle cause, di tutti quei motivi che, in fondo, vi hanno impedito di modificarvi sino ad oggi. […]

fraternitàDomanda – A me sembra che una delle cose più difficili sia quella di accettare l’altro così com’è. A parole sembra facile, però se ci si limita solamente ad accettare l’altro così com’è, si è fatto tutto ciò che si doveva fare? è un po’ come il perdono, il quale può diventare un atto di disturbo dell’altro. L’una e l’altra cosa non dovrebbero essere accompagnate dall’azione, per cercare di capire e quindi di modificare l’altro?
Naturalmente, certamente. Nel mio discorso è compreso anche questo aspetto, cioè quell’aiuto all’altro che consiste nel dargli estensivamente tutti quegli elementi per aiutarlo a crescere. Il punto resta: in che modo si aiuta l’altro? E come lo si deve aiutare? In altri termini, come educare gli altri? Che siano gli altri estranei o i propri figli, o i propri amici. Come aiutarli? Conformandoli al nostro modello, oppure tenendo conto delle loro esigenze? Questo è l’aspetto più difficile e il più delicato della questione.

fraternitàSe li conformate al vostro modello non rischiate appunto di sottrarli alla loro esperienza, alle loro vocazioni? Se li conformate al loro modello (supposto che riusciate a capirlo, naturalmente) non rischiate di lasciarli troppo soli? Il problema è grande, naturalmente, e possiamo eventualmente discuterlo, non questa sera. Credo che questo sia il nucleo fondamentale del rapporto. Ed è, io credo, anche un vostro problema attuale molto grande e sentito. Generalmente esso si verifica puntualmente nella storia tra due generazioni successive. Si è sempre presentato, dunque non è un problema nuovo; anche se, probabilmente, si è maggiormente acuito in questi ultimi decenni o in questo ultimo secolo.

fraternitàTalvolta il dramma e talvolta la sofferenza, nell’ambito delle famiglie, delle generazioni, sono dovuti a questi diversi orientamenti. Da una parte c’è il carattere ripetitivo dell’educazione, tramandato di padre in figlio; dall’altra c’è la necessità delle altre generazioni di essere diverse, non soltanto per il discorso spirituale che abbiamo fatto sulla libertà o meno, ma proprio perché mutano oggettivamente i fatti. Indipendentemente dall’evoluzione dello spirito è la storia del mondo che cambia. Quindi, questa ripetizione, questo carattere ossessivo della ripetitività ha in sé un nucleo patologico che urta continuamente contro il processo evolutivo della storia e che sovrasta addirittura l’uomo.
In questo contrasto si trovano puntualmente tutte le generazioni. Ora, il superamento di questo dipende anche dal gradino in più che dicevamo: questo è chiaro. Perché il problema di per sé non è risolvibile se non osservando le cose da un punto più alto. Se lo si guarda dall’interno appare tutta l’ossessione del dramma fra generazioni e della continua lacerazione.

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Magicamente Colibrì

Ho fatto studi classici al liceo e scientifici all’università, perché amo entrambi i mondi. Questa mia formazione è dovuta al fatto che in me convivono bene gli aspetti che caratterizzano l’essere umano, cioè quelli legati al pensiero razionale e a quello non razionale, e che sottintendono, rispettivamente, alla scienza e alla spiritualità. Molti sono i miei interessi e i post del blog lo dimostrano.

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